Borgata Fiolera. L’India & la scrittura
[Intervista realizzata nell’agosto MMXIII]

«La famiglia Ferrero da cui provengo era composta da due fratelli: Domenico, che sarebbe mio nonno, “barba Net”, e Andrea, “barba “Ciot”. Erano “marghè”. Da San Pietro (29 giugno) a San Michele (29 settembre) andavano con le mucche e alcune capre in montagna, oltre la Certosa di Pesio. Poi si son divisi, hanno cessato quest’attività per dedicarsi alla campagna. E hanno fatto i contadini. Ricordo ancora il caldaio di rame, dove facevano il formaggio. Il “grande pentolone”, pertanto, legava ancor di più le due famiglie; che l’adoperavano anche per la lascivia primaverile e talvolta per il bagno dei bambini.» Inizia così a raccontare don Mauro Ferrero; classe 1924, nato il 14 aprile. E – come lui stesso sottolinea presentandosi con una battuta – “tutti quelli che nascono nei mesi con la “R sono “un po’ pazzerelli”.
Corporatura snella, spalle diritte, naso importante. Dallo sguardo mite e al contempo profondo. Cammina a passi brevi, parla lentamente, lucidissimo. La sua calma trascende l’uomo religioso, l’uomo avanti con l’età. È di chi ha visto e ascoltato tanto. Di chi si è soffermato e ha ammirato; fatto amicizia con l’uomo di ogni razza e religione. Di chi ha preso appunti durante il viaggio della vita.
Poi una nota d’ironia compare sul suo volto, che si allenta in un sorriso e diventa risata gentile. Don Mauro Ferrero – il cui nome di battesimo è Giuseppe, ultimo di nove figli, proveniente da Fiolera, la borgata più antica della Valle Pesio – riprende a raccontare della sua famiglia. «Domenico ha avuto un figlio: mio babbo, Vincenzo. Ferrero Vincenzo. Che ha sposato Ellena Giovanna, di “Monfort”. Il nonno Domenico, invece, aveva sposato Angela “du Castel” (Gola), sorella di “barba Murìsiu” di San Bartolomeo.» E continua: «Il babbo Vincenzo aveva tre sorelle. Una ha sposato “barba Martin” (Musso) di Vigna, e le altre due erano suore. Suore al Cottolengo di Torino. Una di loro è morta in un incidente stradale a Milano. Ma già mia nonna Angela aveva una sorella suora al Cottolengo.»
Certo quando si parla di parentele raccapezzarsi non è semplice; specie se si fa riferimento all’Ottocento. Ma ciò che salta all’occhio è l’attitudine consanguinea alla vita ecclesiale. Le famiglie “Gola-Ferrero”, infatti, erano conosciute, non solo come di grandi lavoratori ottimisti, ma soprattutto per esser religiose di spirito. Propensione che nella numerosa famiglia Ferrero si è estesa anche a metà dei figli.

Ma andiamo per ordine. I fratelli di don Mauro erano: Domenico (1908), missionario in Brasile; morto e sepolto a Caxias du Sul nell’ 85. Luca (1910) e Angela (1912) sposati con famiglia, han vissuto in Francia. Margherita (1913), “suor Cesira” paolina ad Alba, poi rientrata a casa per accudire gli anziani genitori. Caterina (1915), “suor Vincenza”, anch’essa religiosa tra le Pie Discepole del Divin Maestro, ad Alba e in seguito in Argentina e a Roma. Giovanna (1916), morta piccolissima; cui è seguita un’altra Giovanna (1919), sposata con famiglia, vissuta e deceduta a Chiusa di Pesio nel ’92. Vincenzo (1922), che nel ’38 rivelò al fratello Giuseppe, già chierico, di volersi fare prete: “Ma non uno comune…”. Arruolato poi alpino e nel ‘43 morto disperso in Russia.
«E io sono l’ultimo: “Beppino”. Giuseppe. Sono il cocco di mamma, “Magna Giuana”!» scherza. Nei suoi occhi c’è gioia quando afferma che il lato del suo carattere così ottimista e allegro l’ha ereditato proprio da lei. «Il buon umore di mia madre fioriva d’istinto e diventava contagioso. Qualche volta mi prendeva con sé per andare a visitare le famiglie dei parenti. Ovunque eravamo ben venuti. Mamma portava allegria e un regalino. Io ero contento perché mi aspettava una buona pasta asciutta e non la solita polenta, anche se buona.»
Quindi riprende a narrare e il suo sguardo muta ancora nel domandargli il perché della scelta del nome di professione religiosa “Mauro”; diventa espressione d’ovvietà: «Da Fiolera! Dai “Maü”. Ma la mia storia è molto semplice.» Continua: «Sono stato ordinato sacerdote della Società San Paolo il 7 giugno 1950. Nel 1951 destinato all’India. E adesso comincia la storia bella…»

Le sue parole si caricano di colori. «A novembre sono sbarcato a Bombay, in India, come missionario della buona stampa. Non sapevo la lingua, ma mi assaliva il desiderio di comunicare con il popolo. Di giorno la gente affollava le strade e di notte dormiva sui marciapiedi! Io mi son domandato: come posso dare un messaggio a questa gente?» E prosegue. «Per prima cosa mi son chiesto: con quale nome? Ferrero? E siccome gli orientali non gradiscono nomi e cognomi occidentali…» sospira «Ferrero non andava bene. Giuseppe ancor di meno. Allora: Mauro. Che con mia meraviglia fu tradotto in lingua nazionale hindi in: Maurya.» La sua storia si fa avvincente. Don Mauro prosegue: «I Maurya erano una grande dinastia d’imperatori prima di Cristo, che hanno governato l’India per molti secoli.» E specificando: «Quindi da Maurya lo pseudonimo Maurus, con cui sono firmati i miei libri. Questo fortunato frangente aiutò a divulgare rapidamente i miei testi, non solo in India ma in tutte le nazioni di lingua inglese. Fino adesso ho scritto 125 libri, molti sono “best sellers” e tradotti in diverse lingue.» Egli, infatti, nella città indiana di Allahabad, non si dedica solo all’apostolato paolino; la promozione pastorale e culturale è integrata con il lavoro nella tipografia e nella libreria allestite in loco.

Nel proseguo del suo racconto precisa: «Indù, buddhisti e mussulmani, come autore mi credevano un discendente dei Maurya.» Sorride. «Sangue blu. Brahmano.» Cioè appartenente alla più elevata casta indiana. «I cristiani mi consideravano un monaco. Molti, dunque, compravano i libri di Maurus.»
Il primo testo redatto da questo artigiano della penna , che ha vissuto per trentacinque anni in India e viaggiato in ogni dove del mondo, supervisore generale delle edizioni Paoline, s’intitola: Just a moment please. “Solo un momento per favore” (1958). «È una raccolta di 365 messaggi, uno al giorno.» Spiega.

«Di questo libro – noi eravamo molto poveri! – ho ricevuto un primo ordine di pubblicare cento copie.» Pare di vederlo, là in terra asiatica, giovane sacerdote che si domanda quale sia il modo migliore per divulgare. «Tutti i miei libri sono molto semplici. Una storiella. Una spiegazione. Illustrati. Con aneddoti e proverbi. Presento ai lettori una verità e tutto rende la lettura scorrevole e piacevole. Questo è il mio modo di comunicare!» E già solo il primo volume raggiunge le trecentomila copie; ben quarantanove edizioni in Messico.
Nel suo secondo libro – 8 tappe per il successo (Nell’edizione italiana: Felici voi; Ed. Paoline) – presenta le otto Beatitudini evangeliche come via alla felicità. «Nelle scuole indù era usato come testo di morale.» Racconta con tono genuino. E precisa: «Io non sono apologetico. Non difendo. Ma propongo. La proposta tutti possono accettarla. Non offende nessuno.»

Nel frattempo nel seminario locale insegna latino e filosofia indiana. Il suo amore per la letteratura e la cultura di quella terra è profondo. Impastato col Vangelo. Legge i classici degli Upanishads e Bagavad Gita – che poi insegna ai seminaristi paolini – e da essi apprende il motto: “Lascia che nobili pensieri vengano a te da ogni parte”. Tema dei suoi scritti diviene così: l’amore universale; la pace nella famiglia e nella società. La gioia. Il benessere.
Fra i riconoscimenti più prestigiosi: nel 2003 è decretato “Uomo dell’anno” dall’American Biographical Institute. Mentre a Mumbay, il 6 maggio 2012, è stato conferito il primo Fr Maurus Ferrero Annual Award (premio annuale), istituito per celebrare la pluriennale attività del paolino, fondatore , tra l’altro, della prestigiosa collana St.Pauls Better Yourself Books e di due periodici mensili: The Teenager today e Inspirational Quote.

Ma il quasi novantenne don Mauro, che ha conosciuto Madre Teresa di Calcutta, è anzitutto uomo semplice e d’animo gioioso. Da oltre vent’anni è cappellano nell’ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale, dove ogni giorno fa visita ai ricoverati.
Nel concludere la sua storia non tralascia gli aneddoti e racconta ancora di quando era in seminario ad Alba: «Un giorno il superiore generale don Alberione mi ha chiamato e mi ha chiesto: “Quanti anni hai?” Ne ho ventisette, gli ho risposto. “Quanto pesi?”. Sessanta chili. “Quanto sei alto?” Un metro e settanta. “Ecco” mi ha detto “hai età, peso e altezza giusti per andare in India!”»

L’Alberione lo raggiunge in visita nel 1953. Ed è allora che gli suggerisce di iniziare a pubblicare, a diffondere. Mette don Mauro a capo del settore pubblicazioni e, benché lui non conosca ancora l’inglese, lo sprona dicendogli: “Comincia a scrivere. Ci riuscirai benissimo”. Sembra compiersi una profezia. Il suo spirito missionario si sposa con l’aspirazione letteraria. «Fin da quando, a tredici anni, son andato in seminario, avevo il desiderio di scrivere.» Ricorda il sacerdote con la stessa calma e semplicità che si delinea nei suoi testi. «I miei libri sono proiettati a creare un mondo migliore. Più umano e più socievole. »
Poi resta un istante in silenzio. I suoi occhi brillano.
«Io mi considero un miracolato del Beato don Alberione.»
Manola Plafoni
[Quest’articolo compare sul N.24 – dicembre 2013 / del periodico di informazione storico-culturale “Chiusa Antica” (Chiusa di Pesio – CN)]
Attualmente Don Mauro Ferrero ha 92 anni e vive a Roma